27.05.2025

27.05.2025

Mi sono svegliata stanca. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente, come se la settimana mi stesse già drenando tutte le energie. È solo martedì, eppure mi sembra di stare al giovedì. Mi alzo alle 6, un orario che non mi sembra più né umano né decente, ma la vita ha un orario che non ti permette di scegliere, se non vuoi finire fuori dal gioco. Il viaggio in autobus è il solito calvario: adolescenti urlanti, zaini che ti sbattono addosso, quella sensazione di claustrofobia che ti prende ogni volta che l’autobus è stracolmo. Mi guardo intorno, tutti incollati ai loro cellulari, ma io non posso farlo, non voglio. Sono io che, alla fine, mi devo sorbire quel peso invisibile di giorni che si sommano, uno dopo l’altro, con la stessa identica noia.

Non ho la macchina. Non per scelta, ma per una sequenza di eventi che ha avuto inizio due anni fa, quando ho distrutto l’ultima auto in un’incosciente notte di festa. Quella macchina, che era stata la mia fuga dalla monotonia, dalla routine, dalla fatica. L’auto mi faceva sentire libera, anche se ero consapevole di quanto fosse illusorio quel senso di indipendenza. L’ho distrutta in una notte da ubriaca, a Natale, un gesto che mi è costato più di quanto pensassi. E ora, eccomi qui, a prendere l’autobus, a fare i conti con il mio passato, con quello che sono diventata. Ogni volta che mi metto in fila per salire, mi sento come se stessi pagando un debito che non finirà mai.

Arrivo finalmente in ufficio, ma il pensiero non cambia. Sono alla mia scrivania, gli occhi fissi sullo schermo, ma la mente altrove. Il ticchettio delle ore è insopportabile. La voglia di chiudere tutto e andarmene cresce, cresce sempre più. È il pensiero che mi accompagna ogni giorno, quel desiderio di fuggire, di liberarmi, anche se solo per un’ora. Mi viene in mente quel pensiero tanto allettante quanto pericoloso: “E se me ne andassi prima?” Non è che non ci abbia mai pensato, anzi. A volte mi sembra quasi che quella sia l’unica cosa che mi tenga ancora viva, quel piccolo gesto di ribellione che mi fa sentire più me stessa. Andarmene prima, senza preavviso, senza rendere conto a nessuno, solo per assaporare la sensazione di farcela da sola, anche se per poco.

C’è qualcosa di liberatorio nel non seguire le regole, nel fare qualcosa di completamente impulsivo, di irrazionale. È come se quel piccolo atto di follia cancellasse il peso di tutte le giornate precedenti, come se mi ridonasse un po’ di controllo su ciò che sembra fuori dal mio controllo. Eppure, c’è sempre quel timore che mi frena, la paura che alla fine il mio gesto venga punito. La paura che alla fine la libertà che tanto desidero diventi la causa della mia condanna. E questo pensiero mi tiene ancorata alla scrivania, mi fa restare lì, incastrata in una routine che mi sta stretta, ma che al tempo stesso mi dà una sicurezza che non sono pronta a perdere.

Sono lì, in bilico, come sospesa tra il voler evadere e il dover restare. La voglia di uscire da quella prigione mentale è forte, ma anche il timore del conseguente rimorso, della perdita, del cambiamento che potrebbe arrivare. Non è solo il rischio di perdere il lavoro che mi trattiene, è anche il timore di essere giudicata, di essere etichettata come la “fuggitiva”, quella che non rispetta le regole. Eppure, in quei momenti in cui immagino di andarmene, sento un senso di pace, una leggera sensazione di vittoria. La verità è che, a volte, vorrei solo fermarmi un attimo, ascoltare me stessa, senza dovermi giustificare.

Il problema è che la vita non ti dà il lusso di fermarti. E così mi trovo a dover vivere questa tensione costante tra il mio desiderio di libertà e la realtà che mi costringe a restare, giorno dopo giorno. Ma, anche se non posso fare un passo fuori da questo ingranaggio ora, so che la voglia di fuggire non sparirà. E forse, un giorno, troverò una via d’uscita che non sia un gesto impulsivo e folle, ma una decisione consapevole di vivere come voglio, senza dovermi nascondere dietro scelte dettate dalla paura.