“Faccio dopo.”
Due parole. Le ho dette così tante volte che potrei inciderle su una targa e appenderla sopra la scrivania. Sono il mio motto non ufficiale, la mia risposta automatica, il mio modo elegante di prendere tempo, come se quel dopo fosse una terra promessa dove tutto diventa più facile, più chiaro, più veloce. Un’illusione gentile, ma potentissima.
Rimandare è diventata un’arte sottile. Non è semplice pigrizia, non sempre. È un meccanismo quasi raffinato. È la mente che danza tra mille pensieri, che si convince che c’è sempre tempo, che prima serve la giusta concentrazione, la giusta energia, la giusta ispirazione. E nel frattempo… il tempo passa.
Mi è successo con le email da rispondere, con quel progetto lasciato a metà, con la palestra rimandata a lunedì (che non si sa mai quale lunedì, però). Anche con le telefonate importanti, le decisioni da prendere, i sogni da inseguire. Soprattutto con quelli.
Il paradosso è che mentre rimando, so benissimo che sto rimandando. C’è una parte di me che guarda tutto da lontano e sospira: “Lo sai che poi ti ritrovi all’ultimo minuto.” Ma l’altra parte, quella che tiene il timone, è convinta che “ancora un attimo” non farà male. E così l’attimo diventa ore, giorni, settimane.
La procrastinazione non è solo un ostacolo alla produttività. È un modo per evitare il confronto con qualcosa che ci spaventa: la possibilità di fallire, di non essere all’altezza, o semplicemente di non sentirsi pronti. E allora rimandiamo. Con gentilezza, con grazia. Con l’illusione di fare la cosa giusta.
Ma poi arriva il momento. Quello in cui il “dopo” non è più sostenibile. Quello in cui guardi l’orologio, o il calendario, o te stesso allo specchio, e capisci che è ora. Che non ci sono più scuse. Che il momento giusto non esiste, esiste solo il momento presente.
E quando finalmente inizi, spesso ti accorgi che non era così terribile. Che farlo era più semplice di quanto pensavi. Che la soddisfazione dell’aver fatto — anche solo un piccolo passo — è cento volte più grande del sollievo momentaneo del rimandare.
Allora impari, piano piano, a ridurre la distanza tra l’intenzione e l’azione. A dire un po’ meno faccio dopo, e un po’ più faccio adesso. Non sempre. Non perfettamente. Ma un po’ meglio di ieri.
E forse è proprio questa la chiave: non eliminare la procrastinazione del tutto, ma imparare a conoscerla. Perché in fondo non è il nemico. È solo un segnale. Un modo in cui la mente ci dice che ha bisogno di qualcosa. Di comprensione, di calma, o solo di una spinta gentile.
E io quella spinta oggi ho deciso di darmela. Scrivendo queste parole. Che avrei potuto scrivere ieri. O domani.
Ma che, per una volta, ho scelto di scrivere adesso.