Intrappolata

Mi sento intrappolata, ma non in una gabbia di cristallo, fragile e visibile. La mia è una prigione di metallo, pesante e rigida, che mi imprigiona senza pietà. Le mani e le gambe legate, il corpo che non può muoversi e la mente che non trova pace. Ogni giorno è uguale, ogni respiro sembra un peso troppo grande da sostenere.

Il mio passato è una storia di ferite che non si chiudono mai completamente. La gente intorno a me, forse con buonissima intenzione, guarda senza capire. Non c’è fiducia, non c’è speranza che le cose possano cambiare. Eppure, continuo a lottare, anche se a volte la forza mi sfugge tra le dita.

Anche a casa, non riesco a trovare un rifugio. Non sono padrona nemmeno della mia stessa vita: non ho nemmeno le chiavi della porta. Un’assenza che pesa, che fa sentire ancora più lontana la possibilità di un ritorno. Ogni angolo di questa vita sembra essere segnato da una cicatrice che non guarirà mai del tutto.

Eppure, se chiudo gli occhi, c’è un desiderio che mi sovrasta: quello di dormire. Dormire per non sentire, per far passare il tempo, per non affrontare questo peso che sembra non finire mai. Vorrei che il mondo sparisse, che tutti si dimenticassero di me, per non far sentire il mio dolore a chi mi è vicino. Sarebbe più facile, forse, se non dovessi fare niente, se non dovessi più essere un peso.

Ma a volte, mi accorgo che qualcuno c’è. C’è chi cerca di tirarmi su, di ricordarmi che valgo qualcosa, che la mia esistenza ha un senso. Il mio moroso, anche se non sempre capisce, è uno di quelli che cerca di farmi vedere la luce. Ma più mi tira fuori dal buio, più mi sembra di affondare.

Mi sento persa, come se stessi cercando di nuotare in un mare senza fondo, senza trovare mai la terra. La fatica di ogni giorno diventa insostenibile e il dolore sembra una compagnia costante, una presenza che non mi lascia mai. Ma forse, in qualche modo, sto cercando di scrivere anche un inizio, perché le parole, almeno le parole, mi aiutano a respirare, seppur con difficoltà.