Disturbi alimentari

Anche loro, gli amici di vecchia data, quelli che non ti abbandonano mai. Non sono quelli che chiami per un caffè, o quelli che ti chiedono come stai. Sono gli amici invisibili, quelli che ti raccontano la tua verità più brutta e ti fanno sentire potente e impotente allo stesso tempo. Parlo di loro: i disturbi alimentari, quelli che sono entrati nella mia vita quando avevo 14 anni, in concomitanza con una separazione che mi ha lasciato un vuoto enorme e una confusione ancora più grande.

Tutto è cominciato con la solita solfa: la solitudine, l’insicurezza e quella strana voglia di controllare qualcosa, qualsiasi cosa, nella mia vita. E che c’è di meglio da controllare che il cibo? Ho iniziato con quelle abbuffate senza senso, quelle che arrivano quando la mente è in tilt e il corpo diventa solo uno strumento per cercare di riempire un vuoto che non sai nemmeno cos’è. E poi, inevitabile, l’altra faccia della medaglia: il vomito. Un circolo vizioso che pensavo fosse l’unica risposta a quel malessere che avevo dentro.

Ecco che arrivano i conti delle calorie, il pesarsi ogni giorno, e quella frenesia del “se calo un grammo, sono invincibile!”. Un grammo. Ma che sensazione incredibile! Un grammo ti faceva sentire come se avessi conquistato il mondo. Ma, ahimè, il mondo, con quei chili in meno, non era meno grigio.

Per anni ho camminato sulla corda sottile di una vita che non riuscivo a controllare, ma che cercavo di controllare attraverso il cibo. Ogni giornata era una battaglia tra l’idea di mangiare e quella di non mangiare, e il pensiero fisso era: “Quanto peso oggi? Come posso cambiare questo corpo per sentirti più leggera dentro?”

Poi, a un certo punto, la tempesta è un po’ diminuita. Non è che tutto sia magicamente migliorato, ma ho trovato qualcosa che mi ha aiutato a vedere la vita sotto un’altra luce. Ho incontrato una persona che, senza nemmeno volerlo, mi ha fatto dimenticare per un po’ quei dettagli ossessivi. Non mi ha detto “Non pensare al cibo”, non mi ha chiesto “Perché fai così?”, ha solo… portato un po’ di serenità.

Il mio corpo, che un tempo era solo un campo di battaglia, ha cominciato a diventare semplicemente un corpo. La mia mente, che un tempo era prigioniera di conti e pesi, ha cominciato a respirare di nuovo. Non è stato facile, e ogni tanto la vecchia compagnia di disordini alimentari si fa sentire, come una vecchia amica che ti chiama per salutarti, ma adesso ho imparato a dire: “Non oggi, grazie”.

La cosa che mi ha fatto più paura di tutto questo è che non c’è una vera “guarigione”. Non è che un giorno ti svegli e tutto è perfetto. Quello che succede è che impari a convivere con questi mostri invisibili, riconosci i tuoi demoni e, soprattutto, capisci che non sei definita da loro. La cosa che più mi ha insegnato la mia storia è che, alla fine, non è la lotta contro il cibo a definirmi, ma la mia capacità di trovare serenità anche nei momenti più difficili.

Per fortuna, le cose ora vanno meglio. Non è facile, non sarà mai facile, ma ho imparato a non giudicare ogni singolo passo come un fallimento. E quando tutto sembra grigio, ricordo che non sono sola: c’è sempre qualcuno o qualcosa pronto a mostrarmi una via d’uscita, anche quando non la vedo.

E, nel frattempo, mi godo una pizza con gli amici, senza contarne le calorie, e una risata vera che non ha bisogno di pesarsi.