Gira tutto, gira tutto come una trottola.

E io lì in mezzo, tipo cheerleader depressa, che cerca di acchiappare un pensiero stabile mentre il cervello fa la samba. Spoiler: non ci riesco.

La concentrazione? Un concetto mitologico. Come l’araba fenice, l’unicorno o l’email dell’INPS che arriva al primo colpo. Io ci provo, eh. Mi siedo, guardo un punto fisso, respiro, penso: “Adesso mi centro.”
Dopo due secondi sono su Google a cercare: “Come diventare monaca buddista senza rinunciare al Wi-Fi”.

Il mio cervello non ha un pensiero alla volta. No. Ha un’intera orchestra che prova contemporaneamente in salette diverse, con strumenti scordati e il direttore d’orchestra in burnout. E io? Io sono lì che cerco di ricordare cosa stavo facendo cinque secondi fa, mentre nel frattempo penso al 2011, alla cena di stasera, al trauma del 2006 e se ho risposto o meno a quell’ultimo messaggio.

E sai qual è la cosa peggiore? Che anche quando sono ferma, dentro è come se stessi correndo la maratona di New York. In ciabatte.

Vorrei, giuro, trovare quel famoso punto fermo. Quello di cui parlano nei podcast motivazionali con la musica rilassante sotto. Ma ogni volta che ci provo, finisco a fissare il frigorifero pensando: “Perché non esistono le ferie mentali?”

La verità è che sono stanca. Ma non una stanchezza sexy, da eroina romantica con l’aria pensierosa. No, io sono stanca tipo panda con l’ansia e tre caffè nello stomaco. Stanca di tutto questo rumore nella testa, di questo eterno zapping emotivo. Vorrei il telecomando del cervello. Ma niente: ho solo il tasto “ripeti trauma”.

Quindi oggi mi arrendo. Anzi, mi concedo una tregua. Mi faccio un tè, mi siedo sul divano, e accetto che, almeno per oggi, la trottola gira.
E io? Faccio finta di ballarci sopra. Magari con un po’ di ironia. E Spotify in sottofondo.