Immagina di essere giovane, bella, bionda, snob, ricca – molto ricca – e di avere un loft nell’Upper East Side. Che fai della tua vita? Ovviamente decidi di imbottirti di psicofarmaci e dormire per un anno intero. Perché? Ma perché il mondo è brutto, i genitori sono morti, l’arte è noiosa e le persone sono insopportabili. Logico, no?
La protagonista senza nome – forse per non doversi svegliare neanche per presentarsi – è il sogno bagnato dell’intellettuale nichilista contemporaneo: una donna che rifiuta tutto e tutti, con lo stesso entusiasmo con cui si infila una pastiglia. Vuole fuggire dalla vita, ma in modo cool, con un pigiama firmato e una cornice di alienazione estetica. Altro che Eat Pray Love, qui siamo a Sleep, Sleep, and Maybe Disintegrate.
E i personaggi secondari? Una migliore amica che sembra uscita da un episodio dimenticato di Sex and the City, uno psichiatra che prescrive pillole con la generosità di un distributore automatico, e un ex fidanzato così repellente che il lettore quasi spera che torni solo per dare un senso al disprezzo.
Il vero colpo di genio però è che, nonostante una trama che gira più a vuoto di una lavatrice rotta, Il mio anno di riposo e oblio riesce a farti restare incollato fino alla fine. Perché? Perché sotto la superficie apatica, c’è una critica feroce (e divertente) al culto del benessere, alla performance continua, al capitalismo estetico. O forse perché vuoi solo capire se alla fine la protagonista riesce a dormire davvero 365 giorni senza svegliarsi nemmeno per Natale.
In sintesi: un libro che parla di niente, con una protagonista che non fa niente, in una città dove tutti fingono che tutto abbia un senso. Un capolavoro di nichilismo pop, perfetto per chi vuole sentirsi profondo mentre legge sul divano con la stessa espressione di chi ha appena preso un Tavor.
Voto: ⭐⭐⭐⭐☆ – una stella in meno perché non ci ha pensato prima qualcuno a vendere l’apatia come arte.