C’è chi trova la pace nella meditazione, chi nella corsa all’alba, chi facendo volontariato in Nepal.
E poi ci siamo noi, le vere anime pure, che raggiungiamo il Nirvana davanti a uno scaffale di oggetti inutili. Quella candela da 47 euro che promette di “odorare come una biblioteca islandese durante una pioggia leggera” parla direttamente al nostro spirito.
Lo shopping compulsivo non è una debolezza: è un’arte.
Serve intuito, visione, coraggio. E soprattutto la capacità di guardare un cavatappi a forma di giraffa e dire: “Sì. Questo migliorerà sensibilmente la mia qualità della vita.”
La genesi del bisogno (che non sapevi di avere)
Tutto comincia con innocenza. Vai a fare un giro. Solo a guardare. Giusto per sgranchirti le gambe, respirare un po’, vedere “cosa c’è di nuovo”.
Spoiler: c’è sempre qualcosa di nuovo.
Un tappetino da yoga fluorescente, anche se non fai yoga dal 2018. Un set di posate in bamboo che “aiutano il pianeta”. (Tu nel frattempo ordini il kebab in plastica ogni mercoledì, ma dettagli.)
Poi, eccolo. Il momento. Il cuore che accelera. Il portafoglio che suda freddo. Tu che stringi tra le mani quell’ennesimo oggetto salvavita: una piantina finta dentro un vasetto con scritto “Grow through what you go through”.
E pensi: Questo non è un acquisto. È un messaggio dell’universo.
(Anche se l’universo probabilmente ti stava dicendo: “Vai a casa e mangia quella lattuga che sta marcendo in frigo da cinque giorni.”)
La fase dell’euforia
Paghi. Ti senti leggera, centrata, viva.
Hai fatto qualcosa per te. Ti sei presa cura del tuo benessere emotivo. Hai speso 74 euro per un maglione con le orecchie da gatto, ma chi siamo noi per giudicare l’amore?
Esci dal negozio con le buste come trofei. Ti guardi nelle vetrine e pensi: “Sono una persona che prende in mano la propria vita.”
Sì, la prendi. E la infili in un carrello pieno di glitter, agende motivazionali e bicchieri con fenicotteri.
Il post-acquisto: tra senso di colpa e razionalizzazione creativa
Arrivi a casa. Spacchetti. Guardi il bottino.
La lampada a forma di unicorno ti guarda. Tu la guardi.
Ed è lì che si insinua il dubbio: “Ma… perché?”
Subito però interviene il tuo super-io da televendita:
“Beh dai, in fondo ne avevi bisogno. Era un’offerta. E poi te lo meritavi.”
Certo. Come no. Ti meriti ogni centesimo di quella borsa arcobaleno che non entra in nessun armadio. Te lo meriti perché oggi hai risposto a tre email senza insultare nessuno. Brava.
La conclusione inevitabile
Alla fine, lo shopping compulsivo è un po’ come un Tinder per cose: scorri, scegli, ti innamori, compri, ti penti.
Ma non importa. Perché tanto lo rifarai. Perché in un mondo che va a rotoli, l’unica certezza è questa: un altro paio di ciabatte a forma di panda potrebbe salvarci l’umore. Anche solo per mezz’ora.
E in fondo, se il capitalismo ci vuole consumatori, tanto vale farlo con stile. E con una tazza da tè a forma di balena.